IL PORTO ONLUS ACCOGLIENZA IMMIGRATI | 21 marzo: Giornata per l’eliminazione delle discriminazioni razziali > EVENTO del 27 marzo
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21 marzo: Giornata per l’eliminazione delle discriminazioni razziali > EVENTO del 27 marzo

 

Nel mio paese nessuno è straniero

 

EVENTO del 27 marzo

 

Anilda Ibrahimi presenta il suo libro “Il tuo nome è una promessa” Una storia sull’accoglienza ambientata nell’Albania del Novecento.

Nel mio paese nessuno è straniero è il progetto che l’Associazione Il Porto di Ponte San Pietro organizza in occasione della celebrazione in tutto il mondo della Giornata per l’eliminazione delle discriminazioni razziali, fissata il 21 marzo dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, a ricordo del massacro perpetrato dalla polizia sudafricana nel 1960, a Sharpeville, di 69 manifestanti che protestavano pacificamente contro le leggi razziste emanate dal regime dell’apartheid. Tale progetto per sensibilizzare e riflettere sui temi dell’accoglienza, della pace “attiva”, per favorire la cultura dell’antirazzismo e creare occasioni di dialogo interculturale.

 

Anilda Ibrahimi è una scrittrice albanese italofona. Nata a Valona, ha studiato letteratura a Tirana. Nel 1993 inizia a viaggiare in Europa, trasferendosi in Svizzera e successivamente in Italia, dove tuttora vive con la sua famiglia. Si occupa di diritti umani e scrive per diversi quotidiani e mensili. Il suo primo romanzo “Rosso come una sposa” è uscito nel 2008 e ha vinto vari premi. In seguito ha pubblicato “L’amore e gli stracci del tempo “, nel 2012 “Non c’è dolcezza” e nel 2017 “Il tuo nome è una promessa
I suoi romanzi raccontano la sua terra d’origine, in un intrecciarsi di storie, di passato e presente, dove le protagoniste principali sono le donne e la Storia.

 

 

Il libro, che Anilda Ibrahmi ci presenta, intrecciando la vicenda poco nota dei quasi tremila ebrei, che trovarono rifugio in Albania durante la Seconda Guerra Mondiale, e la vita di due sorelle divise dalla persecuzione nazista, racconta la sua Albania da un punto di vista nuovo. E’ quello dello “straniero” e dell’incontro di culture diverse, da una parte gli ebrei in fuga dallo sterminio e dall’altra la comunità albanese per cui l’ospite è sacro e va protetto.

Unico paese negli anni Trenta ad accogliere ebrei, l’ Albania di re Zog li proteggeva, quando i vertici nazisti li costrinsero a lasciare le loro case in Germania. È lì quindi che molte famiglie perseguitate si rifugiano all’alba della seconda guerra mondiale.
Quando, poi, negli anni ’40 nella colonia italiana, invasa dai nazisti, arrivarono le brutalità dell’Olocausto, il popolo albanese si rifiutò di consegnare agli occupanti gli elenchi con i nomi delle donne e degli uomini di religione ebraica. Lo fecero in nome del “Besa”, il codice d’onore. Molto semplicemente: la parola data, la promessa fatta agli ebrei albanesi e a quelli che in Albania avevano trovato rifugio scappando dall’Europa, vittima della follia nazista, di non tradirli, di tener fede al principio di ospitalità e protezione verso chi ha bisogno, indipendentemente dalla razza o dalla religione.

Il romanzo accompagna la storia di una di queste famiglie, i Rosen che fuggono da Berlino col sogno di raggiungere un giorno gli USA: una famiglia con due bambine piccole Esther e Abigail. Le due sorelle sono molto unite, ma dovranno tragicamente separarsi: la seconda è infatti catturata comunque dai tedeschi e condotta nel lager di Dachau. Scampata agli orrori del campo di concentramento, Abigail tornerà in Albania. La sua vita sarà in tutto e per tutto albanese in una famiglia che non è in realtà la sua, ma che l’aiuterà, pur con mille riserve e rinunce, a dimenticare tutto quello che aveva passato e a crescere in un’Albania preda delle contraddizioni e delle arretratezze civili e sociali del dopoguerra.

Negli anni novanta, Rebecca, figlia di Esther, accetta l’incarico dell’organizzazione internazionale per cui lavora: lasciare gli USA destinazione Tirana. Non è mai stata in Albania, ma di quel paese sa molte cose. Sa per esempio che l’ospite è sacro e che la parola data viene presa seriamente. Quello infatti è il paese che ha dato ospitalità a sua madre Esther, in fuga dalla Berlino nazista, il paese che le ha salvato la vita, ma dove ha perso la sorella Abigail, uno strappo mai ricucito e ancora troppo doloroso per essere raccontato.

A Tirana, Rebecca farà così i conti col passato della sua famiglia, ma anche con Thomas, il marito, che la raggiungerà per provare a dare un nuovo corso alla loro storia. Sarà proprio lui, fotografo di fama, a riannodare i fili di quelle vite spezzate, ricostruendo in un documentario le vicende degli ebrei salvati da re Zog e delle due sorelle, Esther e Abigail.
Anilda Ibrahimi, regalandoci personaggi emozionanti, legati indissolubilmente dalla promessa dell’ospitalità e della cura, affronta una pagina di storia che assume un valore rilevante: un momento non solo di esercizio della memoria, ma di sguardo al futuro, alla possibilità di far cadere, in nome della comune appartenenza al genere umano, muri che oggi sembrano impossibili da scalfire.

 

 

 

 

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